I tartufi sono funghi che vivono nel sottosuolo in simbiosi con radici di piante. Hanno l’aspetto di tuberi costituiti all’interno da una massa carnosa detta “gleba” ed all’esterno da una corteccia detta “peridio”; sono costituiti in alta percentuale da acqua, fibre e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi.
Sono classificati in diverse specie, tra cui le più conosciute per uso gastronomico sono:
- Il tartufo bianco d’Alba (Tuber Magnatum Pico)
- Il tartufo nero pregiato di Norcia, per i Francesi truffe du Perigord (Tuber Melanosporum Vitt.)
- Lo scorzone o tartufo nero estivo (Tuber Aestivum Vitt.)
- Il tartufo nero (Tuber Uncinatum)
- Il tartufo bianchetto (Tuber Borchii)
- Il tartufo nero moscato (Tuber Brumale)
La Storia
Il nome scientifico di questo fungo ipogeo è Tuber Magnatum Pico, meglio conosciuto come Tartufo Bianco d’Alba o Acqualagna dal nome delle località che per prime lo hanno valorizzato. Questo tartufo, chiamato anche “trifola”, è giudicato da tutti gli esperti il migliore in assoluto e si trova su quasi tutto l’arco appenninico compreso il territorio delle Crete Senesi in provincia di Siena, con il comune di San Giovanni d’Asso quale centro sede dell’annuale Mostra del Tartufo bianco delle crete Senesi e promotore del premio “un tartufo per la pace”.
Gli antichi pensavano che i tartufi fossero originati dallo scaricarsi dei fulmini nei pressi degli alberi, in realtà nascono spontaneamente solo sotto alcuni alberi, in particolare querce, salici, tigli, pioppi e ciliegi.
La ricerca è affidata da sempre al binomio inscindibile tra l’esperienza dell’uomo nell’individuare le piante idonee e l’infallibile fiuto del suo cane che, individuato il punto esatto, scava freneticamente per portare alla luce il prezioso e profumato tartufo.
Da secoli gli attrezzi del “tartufaio”, come è chiamato il cercatore di tartufi, sono limitati al minimo: scarponcini robusti a prova di fango, un bastone, utile eventualmente anche per spostare rovi o arbusti, un piccolo zappettino per scavare attorno al tartufo senza danneggiarlo, giacca o giubbotto con tasche capaci, per contenere il raccolto ed i pezzi di pane che in genere vengono elargiti ad ogni ritrovamento, come premio al suo fedele amico.
La raccolta avveniva prevalentemente al calar delle tenebre, più che altro per evitare di favorire la “concorrenza” nell’individuare i luoghi più idonei, adesso questo non è più consentito dalla legge. Un mondo, quello del tartufo, che richiama inevitabilmente alla durezza di una vita contadina, oggi completamente e fortunatamente cambiata, che un tempo individuava tra le poche occasioni di realizzo e sostentamento, la possibilità di trovare i tartufi da vendere al mercato di Alba e che finivano prevalentemente sulle tavole dei nobili e dei re.
San Giovanni d’Asso ha avuto il grande merito di saper valorizzare per prima, in provincia di Siena, questo straordinario fungo sotterraneo, che seppure meno famoso non ha nulla da invidiare a quello di Alba. Un percorso che è iniziato di pari passo con l’istituzione del premio “un tartufo per la pace”, con cui ogni anno viene assegnato il tartufo più bello ad un personaggio distintosi per il trionfo della pace nel mondo, l’iniziativa oltre a premiare personaggi come Clinton o Gorbaciov, si è rivelata vincente soprattutto perchè il tartufo è risultato un formidabile “ambasciatore” del territorio, e non solo per le sue qualità gastronomiche.
Il tartufo è una vera e propria “sentinella ambientale”, infatti non tollera l’inquinamento, i diserbanti, e quant’altro non rispetti la natura, sarà per questo che l’agriturismo nelle crete senesi sta conoscendo momenti di vero splendore?
La Pianta
Gli alberi che maggiormente accettano la “convivenza” dei tartufi con le loro radici sono: pioppo,il tiglio, la quercia e il salice.
Sono proprio queste piante, ognuna con le sue caratteristiche, a determinare il colore, il sapore ed il profumo dei tartufi. Ad esempio i tartufi che crescono nei pressi della quercia,avranno un profumo più pregnante,mentre quelli vicino ai tigli saranno più chiari ed aromatici.
Il pioppo e’ caratterizzato da radici molto superficiali, con la particolarità di micorizzazione con il tartufo in sito adatto.
Risponde efficacemente alle cure colturali di potatura delle radici e della chioma, per questi motivi e’ una pianta da privilegiare negli impianti di tartufaie.
ll tiglio ha bisogno di situazioni di forte stress, quindi la posizione migliore e’ lungo i bordi stradali
La quercia per produrre tartufi deve essere in prossimità di una falda acquifera che impedisca così alle radici di andare alla ricerca dell’acqua. Questo come ben letto e’ già un notevole limite.
Tutti i salici, compreso il caprea a foglie ovali, sono ottimi produttori e si prestano ad essere gestiti abbastanza facilmente attraverso potature della chioma
La forma dei tartufi invece dipende dal tipo di terreno: se questo è soffice i tartufi saranno tendenzialmente lisci e tondeggianti; se compatto e argilloso saranno più ‘ nodosi e bitorzoluti poiché maggior fatica avranno fatto a trovar spazio per la crescita nel terreno
E comunque sebbene in questo esistano le condizioni ottimali quali PH ed umidità e la pianta sia potenzialmente idonea per la crescita dei tartufi, non tutte risultano capaci a sostenere il loro sviluppo.
Per questo la tartuficoltura studia il particolare fenomeno ormai da decenni con l’obiettivo di riuscire in un prossimo futuro a produrre tartufi in colture arboree sotto il diretto controllo dell’uomo e non più soltanto dal caso fortuito. Per alcuni tipi di tartufi si hanno già buoni risultati di queste ricerche (es. le piantagioni per i tartufi neri pregiati) mentre purtroppo molta strada si deve ancora percorrere per ottenere risultati simili nella produzione dei tartufi bianchi d’Alba.
Si sa, per il momento, che per questi sono necessari un terreno a grossi pori molto ossigenato, ricco di calcio e con una buona umidità anche nel periodo estivo. Nonostante queste particolari condizioni, comunque, non sempre si ottengono buoni risultati. I tentativi proseguono ma per ora questo prezioso frutto della natura continua ad essere un gioiello avvolto dal fascino ed un pizzico di mistero. Forse resterà ancora per altro tempo, ma noi possiamo ancora continuare a gustarlo e stimarlo come la natura lo ha creato.
La Ricerca
Come abbiamo già detto il tartufo vive sotto terra è l’unica possibilità di portarlo alla luce per il cercatore è quella di stringere un’alleanza con un cane dal fiuto finissimo e per questo particolarmente addestrato a riconoscere l’intenso aroma del tartufo.
Viene denominato “tartufaio” colui che “armato” di cane, esperienza ed un po’ di fortuna si prodiga nella ricerca del prezioso tubero.
Per essere in regola con la legge il tartufaio deve possedere un tesserino di riconoscimento che lo abilita alla ricerca nei luoghi in cui è consentita .Il tartufaio deve però agire nel rispetto della natura circostante e delle proprietà altrui. Quando il fedele compagno fiuta il tartufo nel punto in cui è nascosto, lo indica al tartufaio che con un’apposito zappino comincia a scavare fino a quando trova l’ambito tesoro. In seguito il tartufaio deve rimettere a posto le zolle di terreno che ha rimosso.
Per un ricercatore esperto tutte queste operazioni sono scontate anche perché di solito chi pratica questo lavoro non vuole lasciare tracce del suo passaggio.
Il Bianco registrato
Il tartufo bianco pregiato, nome scientifico TUBER MAGNATUM PICO. E’ considerato il tartufo per antonomasia perché riveste un’importanza commerciale notevole. Conosciuto anche come “trifola” o Tartufo d’Alba o Acqualagna, lo si trova su quasi tutto l’arco appenninico a quote fino 400, 500 metri d’altitudine, vicino ai fossi di fondovalle o nei caratteristici calanchi delle crete senesi.
Esso ha un aspetto globoso, con numerose depressioni sul peridio che lo rendono irregolare. La superficie esterna é liscia e leggermente vellutata. Il colore varia dall’ocra pallido al crema scuro fino al verdastro. La sua carne o gleba é inconfondibile e si presenta bianca e giallo grigiastra con sottili venature bianche. Il suo profumo piacevolmente aromatico ma diverso dall’agliaceo degli altri tartufi lo rende unico nel suo genere. Vive in simbiosi con querce, tigli, pioppi e salici e raramente lo si trova in concomitanza ad altri tartufi. Il tartufo bianco, per nascere e svilupparsi ha bisogno di terreni particolari con condizioni climatiche altrettanto particolari: Il suolo deve essere soffice e umido per la gran parte dell’anno, deve essere ricco di calcio e con una buona circolazione di aria. E’ quindi intuibile che non tutti i terreni presentino queste caratteristiche e proprio questi fattori ambientali fanno si che il tartufo bianco diventi un frutto raro quanto ambito. La raccolta è da Settembre a Dicembre.
Presupposto che il materiale che compone il suolo debba essere ricco di calcio e che il microclima deve essere fresco e umido anche d’estate, il tartufo bianco pregiato cresce laddove agenti dinamici esterni ricreano anno dopo anno uno strato soffice e poroso di suolo che possa essere facilmente colonizzato dal fungo ed entro il quale ci sia una grande circolazione di aria.
In natura il combinarsi di questi fattori non e’ poi così frequente, inoltre il perdurare di queste condizioni deve essere sincronizzato con il ciclo annuale del fungo. Nell’ambiente delle Crete Senesi, ad esempio, lo strato soffice e poroso viene creato ogni anno dalle piogge autunnali. Queste provocano delle rapide e localizzate esondazioni dei corsi d’acqua nei fondovalle, il materiale terroso trasportato dalle acque, quindi, viene depositato in maniera rapida e caotica lungo le sponde creando delle strutture di suolo con forte porosità connessa con l’esterno.
Nella primavera successiva, questo strato, completamente privo di vegetazione e ricco di pori grossi ed in comunicazione con l’esterno, viene rapidamente colonizzato dalle nuove radici micorrizate ed in seguito dal micelio. Se le condizioni climatiche estive saranno favorevoli, tali da conservare in vita il micelio del fungo ed il maggior numero possibile di primordi fruttiferi, nell’autunno si avrà una buona produzione di tartufo bianco pregiato. Questo ciclo deve rinnovarsi ogni anno perchè il terreno tende a ricompattarsi e a perdere porosità per riempimento dei vuoti sia con il materiale fine trasportato dall’acqua al suo interno, sia per effetto della pioggia battente, sia per effetto della costipazione operata dalle radici delle specie erbacee che successivamente colonizzeranno il terreno. Si può generalizzare dicendo che gli ambienti del tartufo bianco pregiato derivano da una forte dinamica morfologica in un ambiente calcareo e con clima di tipo temperato piovoso con estati fresche ed umide.
E’ possibile trovare tartufaie naturali quindi lungo le pendici con piccoli movimenti franosi superficiali come all’interno dei calanchi tipici delle crete senesi.
A volte si associa l’alternanza di gelo disgelo che ricrea ogni anno uno strato poroso sufficiente per lo sviluppo del tartufo. Altre volte e’ conseguenza dell’azione inconsapevole dell’uomo con le lavorazioni dei terreni non eccessivamente profonde magari legate a suoli formati da materiali stabili che non perdono la loro struttura porosa resistendo piu’ di altri alla compattazione operata dalla pioggia, come accade in prossimità di fossi e torrenti nelle zone pianeggianti della provincia di Siena, (Asso, Serlate).
Da quanto detto si può intuire come, a prima vista, possano apparire differenti gli ambienti del tartufo bianco ma quanto in realtà siano specifici e simili se osservati con l’ottica del tartufo. Essendo un fungo ipogeo dalle esigenze biologiche molto poco flessibili, e’ il pedoambiente che deve essere valutato nel suo complesso. Ecco perchè aree apparentemente diverse ma con in comune le tre condizioni suolo fondamentali, in presenza di piante ben micorrizate, vengono scelte dal tartufo per la sua riproduzione.
Tartuficotura
Da molti anni gli studiosi cercano di capire come si forma il tartufo per consentirne la riproduzione su larga scala, purtroppo i risultati non sono molto incoraggianti, specialmente sul versante del tartufo bianco. E’ come le belle donne, difficile da conquistare.
Sul fronte della micorizzazione delle piante il metodo del contatto sembra quello più idoneo, ma dopo la messa a dimora della piantina i risultati non arrivano, questo induce a pensare che partire da una tartufaia esistente e tentarne l’espansione con opportune tecniche sia ancora il metodo più sicuro.
A suffragio di quanto sopra voglio raccontare una mia personalissima esperienza.
Lungo l’argine di un torrente, è stato fatto un rimboschimento, che all’inizio dell’estate viene regolarmente lavorato con un attrezzo che si chiama frangizolle, all’interno di questa piantagione, realizzata da soli due anni, a circa 10 – 15 mt. dalle piante presenti sull’argine ho cavato alcuni tartufi bianchi di dimensioni ragguardevoli (da 80 a 200 gr.) nonostante la stagione siccitosa e povera di tartufi, mentre lungo l’argine nemmeno un tartufino di 5 gr.
Se teniamo conto di quello che dicono alcuni esperti la cosa è quanto meno strana, visto che secondo loro il terreno tartufigeno non deve essere assolutamente toccato.
A mio parere questo è vero solo parzialmente, infatti se la lavorazione non è effettuata troppo in profondità e non si recidono le radici delle piante, questa è utile e necessaria perché contribuisce a creare le sacche d’aria necessarie alla formazione e crescita del tartufo.
Un altro fattore importante per la cura e il mantenimento della tartufaia è il controllo delle erbe e degli arbusti infestanti, la loro presenza, se eccessiva, provoca la costipazione del terreno, impedendo la penetrazione dell’acqua e l’aerazione del terreno. Anche l’eccessiva presenza di foglie e arbusti secchi, se lasciati marcire sul terreno tartufigeno, non aiutano, infatti marcendo provocano l’inacidimento del terreno, i tartufi saranno sempre più piccoli ed infine scompariranno.
Per concludere ritengo che la lavorazione superficiale del terreno, da effettuare ad inizio primavera, con erpice o estirpatore, contribuisca a mantenere le condizioni ideali per la formazione e lo sviluppo dei tartufi, ma anche il rinnovo delle piante, effettuata infiggendo nel terreno le cosiddette “marze”, è una attività fondamentale, è noto infatti che ogni pianta ha un suo ciclo produttivo più o meno lungo e quando questo termina la tartufaia si esaurisce.
Purtroppo la mancanza di studi scientifici certi, soprattutto per quanto riguarda la tartuficotura del tartufo bianco, non consente affermazioni certe, ma solo sperimentazioni e prove soprattutto tese a migliorare le prestazioni delle poche tartufaie rimaste.